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Trabocco Le Cungarelle

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    12월 29, 2021

    Il trabucco, nelle varianti abruzzesi e molisane detto anche trabocco, bilancia o travocco, è un'antica macchina da pesca tipica delle coste abruzzesi, garganiche e molisane, tutelata come patrimonio monumentale nella costa dei Trabocchi (in Abruzzo) e nel parco nazionale del Gargano (in Puglia); la sua diffusione però si estende lungo il basso Adriatico, a partire da Pescara fino ad alcune località della provincia di Barletta-Andria-Trani, a nord di Bari.

    Secondo alcuni storici pugliesi, il trabucco sarebbe un'invenzione importata dai Fenici. La più antica data di esistenza documentata risale al XVIII secolo, periodo in cui i pescatori dell'Abruzzo dovettero ingegnarsi per ideare una tecnica di pesca che non fosse soggetta alle condizioni meteomarine della zona. I trabucchi, infatti, permettono di pescare senza doversi inoltrare per mare: sfruttando la morfologia rocciosa di alcune zone pescose della costa, venivano costruiti nel punto più prominente di punte e promontori, gettando le reti verso il largo attraverso un sistema di monumentali bracci lignei.

    Secondo antica tradizione di tutto l’Adriatico, venivano realizzati degli impalcati per la navigazione da cabotaggio per il trasporto dei prodotti della terra come cereali, olio, vino, sale, mortella, legname da costruzione, verso i mercati della Dalmazia, del Regno di Napoli, dello Stato della Chiesa, dell’Austria e della Repubblica di Venezia. In pratica, non esistendo strade di collegamento a lunga percorrenza sul territorio, a causa della sua orografia accidentata, era onere delle locali autorità feudali o della borghesia terriera costruire e mantenere queste strutture per facilitare lo smercio dei prodotti delle loro terre, come risulta dal rendiconto degli erari dell’Abbazia di S. Giovanni in Venere, e su cui è conforme la storiografia ufficiale. E tra tutti, Alessandra Bulgarelli Lukacs, studiosa dell’Università Federico II di Napoli, la quale sostiene che la costa abruzzese, tra il Sangro e Ortona, era punteggiata di queste strutture dette caricatoi-scaricatoi in grado di ospitare piccolo naviglio di uso cabotiero. È questo dunque lo scenario da cui emerge e prende corpo il trabocco, che noi conosciamo. L’occasione è data dal progetto di deforestazione e dissodamento di terreni, tra S. Fino e Vallevò, a partire dalla metà del ‘700, in cui furono impiegati coloni, alcuni provenienti dalla Dalmazia, altri già presenti nell’area tra S. Vito e Fossacesia. Nel corso di tali operazioni furono fatte realizzare, dai proprietari dei terreni da diboscare e dissodare, impalcature in legno, come da tradizione, per consentire il carico del materiale legnoso, per uso industriale, sulle navi da cabotaggio veneziane. Tali strutture furono realizzate nei punti in cui la costa presentava scogli affioranti con acque profonde sufficientemente per consentire la navigazione alle suddette imbarcazioni. Dalla cartina antica n. 7 Igm, della navigazione da cabotaggio, dal Tronto a S. Maria di Leuca, di fine XVIII secolo, si possono rilevare le località costiere di Punta della Schiavonesca, Punta S. Fino, Punta de’ Mazziotti e Punta Malvò con tali caratteristiche, ossia con acque profonde tra i 7 e i 13 piedi (pari a 2-4 metri circa), dove furono realizzate almeno tre di queste impalcature. Prova ne è che in altra piantina, di fine anni Settanta dell’Ottocento, a Punta dè Mazziotti, risulta collocato il «2° trabocco». E a conclusione di tali operazioni, questi coloni, una volta insediatisi definitivamente con le loro famiglie sulle terre ricevute, parte in proprietà, a mezzo contratto di pastinato, stipulato al loro arrivo, e parte in colonia perpetua, pensarono di adattare e recuperare, a loro sostentamento, tali “imposti”, utilizzandoli nella pesca dei periodi morti della lavorazione dei campi. Si distinsero in tali operazioni, secondo fonti orali locali, i coloni appartenenti al gruppo documentato e identificato con «Philippo de Jacomo Antonio, alias Virì» e «Jacobo Antonio de Vito di Giacomo Antonio de Vito, Alias Virì», provenienti dalla Dalmazia. Tali coloni, con le rispettive famiglie, erano insediati, secondo la stessa cartina Igm n. 7, nella località S. Fino dove è riportato il toponimo “Masseria Vrì”, da cui “Virì” e infine Verì, come tali famiglie oggi sono conosciute. È del tutto evidente come l’esperimento e le fatiche profuse da tali coloni avessero prodotto i risultati sperati. Difatti, la struttura fu consolidata, ripensata e migliorata, grazie all’esperienza acquisita nel tempo e grazie all’impiego di materiale ferroso di scarto, tra cui pezzi di binario, bulloni, piastre e dadi, abbandonato dalle maestranze addette alla costruzione della strada ferrata tra il 1862 e il 1865.I trabocchi, dunque, sarebbero nati da strutture create, secondo la tradizione e la pratica del tempo, per dare sbocco ad attività economiche del territorio, a cui i coloni protagonisti di quella stagione agro-silvana seppero dare una diversa e utile destinazione, impedendone la distruzione al mare e tramandando così ai posteri un patrimonio culturale e morale di inestimabile bellezza, insieme a una tradizione che ancora oggi continua ad arricchirsi di senso, essendo diventata identitaria di tutta la costa e soprattutto della comunità territoriale. Nel 1889 Gabriele D'Annunzio affittò una villa presso San Vito Chietino, rimanendo colpito dai trabocchi, in particolare dal trabocco Turchino, che descrisse nel romanzo Il trionfo della morte (1894).



    Il trabocco è tradizionalmente costruito col legno di pino d'Aleppo, il pino comune in tutto il medio Adriatico; questo perché è un materiale pressoché inesauribile, data la diffusione nella zona, modellabile, resistente alla salsedine ed elastico (il trabocco deve resistere alle forti raffiche di Maestrale che battono il basso Adriatico). Alcuni trabocchi sono stati ricostruiti negli ultimi anni, grazie anche a finanziamenti pubblici come ad esempio la legge regionale abruzzese n.99 del 16/9/1997, ma hanno però perso da tempo la loro funzione economica che nei secoli scorsi ne faceva principale fonte di sostentamento di intere famiglie di pescatori, acquistando in compenso il ruolo di simboli culturali e di attrattiva turistica. Alcuni trabocchi sono stati persino convertiti in ristoranti. Il termine “trabocco” deriva per sineddoche da quello della rete suddetta, ossia da trabocchetto, e questo, il quale è usato anche nell'uccellagione ed è sinonimo di 'trappola', è dovuto al tipo di pesca, cioè perché il pesce cade in una trappola.



    La tecnica di pesca, peraltro efficacissima, è a vista. Consiste nell'intercettare, con le grandi reti a trama fitta, i flussi di pesci che si spostano lungo gli anfratti della costa. I trabocchi sono posizionati là dove il mare presenta una profondità adeguata (almeno 6m), ed eretti a ridosso di punte rocciose orientate in genere verso SE o NO, in modo da poter sfruttare favorevolmente le correnti.



    La rete (che tecnicamente è una rete a bilancia) viene calata in acqua grazie ad un complesso sistema di argani e, allo stesso modo, prontamente tirata su per recuperare il pescato. Ad almeno due uomini è affidato il durissimo compito di azionare gli argani preposti alla manovra della gigantesca rete, nei piccoli trabocchi della costa molisana e abruzzese l'argano è azionato spesso elettricamente. Sul trabocco operano in norma quattro uomini (che si spartiscono i compiti di avvistamento del pesce e di manovra), detti "traboccanti".

      6월 28, 2023

      the Via Verde, the cycle path that runs along one of the most evocative stretches of the Adriatic coast, a few meters from the sea, immersed in the nature of the Costa dei Trabocchi.

      번역자 Google •

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