Il nome Carroxium appare, per la prima volta, in un documento del 1144. Nel 1185, invece, con sentenza promulgata dall’Imperatore Federico II, la strada tra Voltaggio e Gavi (transitante quindi per Carrosio) fu dichiarata libera ai mercanti d’Italia.
Gli elevati balzelli applicati dai marchesi di Gavi costrinsero però i mercanti a cercare un percorso alternativo: a questo scopo risultò perfetto il vecchio insediamento di Meo, facilmente difendibile per la sua posizione elevata e ottimo “snodo” per i viandanti verso Rigoroso.
Nel 1144 i signori di Montaldeo prestarono fedeltà alla Superba metà del loro feudo e garantirono il possesso di Voltaggio, Fiaccone (oggi Fraconalto) e Amelio (altro nome di Meo); due anni dopo, i signori di Gamondio (oggi noto come Castellazzo Bormida) si impegnarono ad assistere Genova nella gestione dei tre possedimenti.
Per tutti i secoli XII, XIII e XIV questa via costituì così il raccordo trasversale che collegava le valli del Lemme e dello Scrivia, col beneplacito dei Consoli della Repubblica di Genova.
Il declino di Aimero (Meo) e la “rinascita” di Carrosio
L’aumento delle frane e la progressiva diminuzione dell’importanza di Aimerio (nei documenti dell’epoca citata anche come Amelio) per via del passaggio sempre maggiore dei mercanti verso la via lungo il Lemme, facilitata dagli accordi con Gavi, causò un rapido declino dell’insediamento, coi suoi abitanti che si sparsero negli insediamenti vicini: quello più “scelto” fu appunto quello di Carrosio.
Alcuni gruppi familiari mantennero le proprie origini di Amelio nel cognome: fra questi gli Ameri, gli Amelio e gli Imelio. Nei secoli successivi, questi cognomi figurarono spesso nei documenti delle famiglie nobiliari e nei registri della Chiesa, tra le alte cariche locali[6]; nel frattempo, il villaggio crebbe a ritmi lenti ma constanti.
Nel marzo del 1625 i franco-savoiardi comandati da Carlo Emanuele I di Savoia invasero il territorio di Carrosio, affrontando i genovesi alleati con gli spagnoli. In un primo momento la ebbero vinta, sfondando le linee di difesa dei liguri, ma furono fermati successivamente a Malpertuso, vicino a Montanesi, dove oggi sorge il Santuario di Nostra Signora della Vittoria, e il 21 giugno 1625 abbandonarono definitivamente Carrosio.
Passato ai Savoia nel 1735, divenne una enclave sabauda all'interno della Repubblica di Genova. Abolito il feudo nel 1798, fu protagonista di una rivolta giacobina contro il governo piemontese, che si risolse in un attacco al castello di Serravalle – fallito – da parte di 2000 rivoluzionari; i superstiti furono braccati dagli abitanti dei paesi vicini e uccisi “come uomini miscredenti e nemici di ogni autorità”.
Dopo le vittorie napoleoniche e la ricostruzione della Repubblica Ligure, Carrosio entrò a far parte, con decreto del 4 settembre 1802, di uno dei 18 cantoni della “giurisdizione del Lemo”, con municipio e tre giudici di pace.
Tre anni dopo, la Repubblica Ligure venne incorporata nell’impero francese, e francesi divennero leggi e pratiche anche a Carrosio: il sindaco si chiamava “Maire” e gli atti ufficiali dovevano essere redatti in lingua francese.
Nel 1812 fu ospitato nel “Roccone” di Carrosio il Papa Pio VII, avviato all’esilio di Fontainebleau: una lapide murata nel frontale del palazzo ne rende testimonianza.
Dopo la caduta di Napoleone, al Congresso di Vienna si deliberò l’annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna: il paese tornò quindi definitivamente tra i domini sabaudi, e il 2 settembre del 1815 re Vittorio Emanuele I e la regina Maria Teresa d'Austria-Este attraversarono Carrosio, festeggiatissimi dalla popolazione locale[7].